Grattacielo 2025, “Dove non siamo”. La recensione della prima del 6 novembre
In scena a Teatro Spazio Diamante fino a 8 novembre 2025
Il teatro, nel suo senso più puro, non è mai stato solo intrattenimento. Nella sua declinazione sociale, esso si erge a strumento di democrazia e di riappropriazione dello spazio pubblico e del sé. Il teatro sociale è, per sua natura, un dispositivo politico che sposta le vite marginali dal cono d’ombra della cronaca al fascio di luce del palcoscenico, trasformando l’esperienza privata in un fatto collettivo e universale. Questo ruolo si amplifica quando il focus è sul femminile. Per le donne con vissuti di fragilità, resistenza o migrazione, la scena offre un campo di battaglia e, al contempo, un luogo di cura. Lì, il corpo non è più oggetto di giudizio o di violenza invisibile, ma diviene veicolo narrativo e atto di presenza inoppugnabile, la più efficace palestra di emancipazione, offrendo la grammatica necessaria per riscrivere la propria storia, letteralmente, davanti a un pubblico che è chiamato a farsi testimone attivo.
È con queste premesse che si è conclusa la prima annualità di GrattaCielo allo Spazio Diamante di Roma, un progetto biennale promosso da Roma Capitale – Assessorato alla Cultura e vincitore di Roma Creativa 365, che ha pienamente incarnato questa filosofia. Il titolo stesso, GrattaCielo, è la sintesi di un’etica. È l’urlo che si fa gesto, l’intenzione di “grattare il cielo per toccarlo, riscriverlo, superare i limiti imposti”, una metafora potente di riscatto che trae forza dalle storie reali. Il successo del progetto risiede proprio nella sua capacità di creare un dialogo artistico e umano, mescolando l’esperienza delle attrici professioniste con le biografie non filtrate delle donne con vissuti di vulnerabilità e migrazione.
Lo spettacolo che ha inaugurato il biennio, “Dove non siamo”, si è rivelato una scelta drammaturgica complessa e vincente. Partire da La casa di Bernarda Alba di Federico García Lorca non è stato un omaggio sterile, ma un innesto radicale.
La casa claustrofobica di Bernarda, governata dall’autorità e dal lutto forzato, è diventata la metafora perfetta delle prigioni invisibili in cui sono relegate oggi molte donne, siano esse costrette in dinamiche patriarcali o intrappolate in contesti sociali ostili, come spesso accade nel percorso migratorio. La messa in scena della Compagnia Bartolini/Baronio ha privilegiato la forza del racconto collettivo, evitando ogni eccesso estetico. Le attrici hanno saputo intessere il testo lorchiano con le loro narrazioni autobiografiche, creando un collage di dolore e desiderio in cui la ribellione finale delle figlie di Bernarda Alba ha trovato un’eco credibile e urgente nelle storie delle donne coinvolte. Non è stato uno spettacolo di pura e semplice fruizione, ma un documento umano di grande impatto emotivo, dove la presenza fisica delle interpreti ha testimoniato che la lotta messa in scena è una lotta vissuta.
Il valore del progetto è stato ulteriormente rafforzato dal convegno “L’arte come pratica di incontro”, un momento necessario di decantazione emotiva e di collegamento con le reti di sostegno sociale e politico del territorio. Con GrattaCielo, il teatro sociale non solo ha dimostrato di essere vivo, ma ha ribadito la sua funzione insostituibile: non solo raccontare, ma modificare la realtà.
L’attesa è ora alta per la seconda annualità (2026), che affronterà il tema della violenza di genere con lo spettacolo “Pelle di fiaba”, promettendo di proseguire su questa linea di frontiera, in cui l’arte è veicolo di denuncia, cura e rinnovamento.
Claudio Costantino



