
“Ho paura Torero”. La recensione della prima del 3 aprile.
In scena al Teatro Argentina fino al 17 aprile 2025
Il debutto romano di “Ho paura torero” al Teatro Argentina si rivela un evento teatrale di grande impatto emotivo e intellettuale. L’adattamento dell’omonimo romanzo del compianto poeta cileno Pedro Lemebel – curato per la scena da Alejandro Tantanian e interpretato da Lino Guanciale nel doppio ruolo di attore protagonista e dramaturg – riesce a tradurre con grande efficacia la potente miscela di sensualità, politica e umanità toccante che caratterizza l’opera letteraria.
Claudio Longhi dirige uno spettacolo che, nonostante la sua apparente semplicità scenografica – a due piani, con strutture di legno minimal, casse di legno, un velo di tulle che funge da schermo per proiezioni di immagini e video – si rivela ricco di sfumature e capace di evocare con forza l’atmosfera opprimente della Santiago del 1986, sotto il regime dittatoriale di Pinochet.
Con Guanciale in scena un cast di grande bravura: Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Mariano Pirrello, Sara Putignano, Giulia Trivero.
La scelta di focalizzarsi sui personaggi e sulle loro relazioni, sullo sfondo del fallito attentato al generale, si dimostra vincente. Il vero cuore dello spettacolo è senza dubbio l’interpretazione di Lino Guanciale nei panni di “Fata”.
Guanciale riesce a incarnare la complessità del personaggio transgender, ex prostituta che vive di sogni in un contesto sociale brutale, con una naturalezza e un’umanità disarmanti.
L’attore evita qualsiasi caricatura, offrendo un ritratto intimo e commovente di una donna che, nonostante le ferite e le umiliazioni, non rinuncia alla propria identità e al desiderio d’amore. La sua “Fata” è sarcastica e fragile, passionale e disillusa, un vero e proprio faro di resistenza umana in un’epoca oscura.
Al contrario i personaggi di Pinochet e di sua moglie doña Lucía vengono messi in scena con toni decisamente esagerati, quasi caricaturali e satirici. Questa scelta stilistica, che potrebbe sorprendere alcuni, è una volontà precisa – della penna affilata di Lemebel e della trasposizione teatrale di Longhi di evidenziare l’assurdità grottesca del potere dittatoriale – per porre in risalto la superficialità, le manie e i tic del potere mentre in piazza le mogli e le mamme dei desaparecidos mostrano le foto dei loro cari.
I “travestimenti musicali” curati da Davide Fasulo giocano un ruolo fondamentale nel creare un’atmosfera suggestiva e profondamente radicata nel contesto culturale dell’opera. Fasulo attinge a piene mani dalla musica popolare cilena; le note malinconiche e vibranti delle canzoni si intrecciano con la narrazione, enfatizzando le emozioni dei personaggi, evocando l’anima ferita del Cile e amplificando la tensione emotiva di alcune scene.
La drammaturgia di Tantanian e Guanciale sembra aver fatto un ottimo lavoro di sottrazione, mantenendo intatta la forza evocativa e la ricchezza tematica del romanzo. Come ha dichiarato Tantanian, l’obiettivo era quello di rimanere fedeli al testo di Lemebel, preservandone lo stile e la lingua unica. L’alternanza tra la prima e la terza persona, presente nel romanzo, viene portata in scena offrendo al contempo i punti di vista soggettivo ed oggettivo, e coinvolgendo attivamente lo spettatore.
“Ho paura torero” non è solo una storia d’amore atipica ambientata in un periodo storico drammatico. È un’opera che tocca temi universali come la ricerca della libertà, la lotta contro l’oppressione, il coraggio di essere se stessi nonostante il giudizio degli altri, la forza travolgente del desiderio e la vulnerabilità dei sentimenti umani.
Le emozioni del romanzo si riflettono in pieno nella trasposizione teatrale: si ride per la pungente ironia di alcune battute e per l’audacia della “Fata”, ma si piange anche per la sua fragilità, per la brutalità del contesto e per il destino ineluttabile del desiderio.
“Ho paura torero” si rivela davvero uno spettacolo intenso e necessario.
Brunella Brienza