Teatro Eliseo: l’abbraccio avvolgente di Lavia, che racconta il suo Prévert

foto di Filippo Manzini

“I ragazzi che si amano”. La recensione.
In scena al Teatro Eliseo fino a 1 marzo 2020

I ragazzi che si amano (uno spettacolo su Jacques Prévert)” di Gabriele Lavia: entrando al Teatro Eliseo pensavamo di assistere ad un recital di poesie sdolcinate, con versi da bigliettini dei Baci Perugina. Lo stesso titolo dello spettacolo lo faceva presagire, così come la scena teatrale che era già a sipario aperto: ovviamente con le foglie morte sparse ed una panchina che ricordava i fidanzatini di Peynet.

Invece è stata un’emozionante, appassionante, coinvolgente cavalcata nell’esistenzialismo. Un’avvolgente rilettura di Prévert messo a confronto con un altro suo contemporaneo Jean-Paul Sartre.

Lo spettacolo è stata una lezione di teatro, ma anche di filosofia. Partendo dal Platone del “mito della caverna”, citando Heidegger, Hopper, Jaspers…

Tutto nasce dal titolo e dal verso della poesia (che dà il titolo alla rappresentazione) che è stato male interpretato. “Enfants” è stato tradotto come “ragazzi”, ma sono i “bambini”. Lavia (s)travolge completamente quei versi; i ragazzi che i amano non sono (solo) i giovani con gli ormoni a mille, ma siamo tutti noi.

Illuminante – è il caso di dire – la rilettura e l’interpretazione dei versi di “Tre fiammiferi” (Trois allumettes): Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte: il primo per vederti tutto il viso, il secondo per vederti gli occhi, l’ultimo per vedere la tua bocca, e tutto il buio per ricordarmi queste cose, mentre ti stringo fra le braccia. Quel volto, quegli occhi, quella bocca sono universali; è tutto il mondo da ricomprendere in un grande abbraccio (il “tutto avvolgente” di Karl Jaspers).

Sul palco quel piccolo grande uomo con impermeabile e borsalino, con in mano una sigaretta “Gauloises papier maïs”, sta a rappresentare e ricordare Prévert, Sartre, Jean Gabin… un mondo, una Parigi che – ci tiene a precisare – è un concetto universale; sono il mondo, l’umanità, tutti noi.

L’esistenza – spiega – è l’attimo, il momento presente in cui si passa dal buio delle tenebre alla luce;  è il presente abbagliati dalla vita (Platone). Eppure lui sa guardare anche dietro, a “Il culo” a cui Prévert ha dedicato una poesia irriverente e spiazzante; cioè sa guardare alla storia.

Siamo la nostra storia e il nostro presente. Trabocchiamo d’amore…

Lavia, sul palcoscenico, abbatte subito la quarta parete, parla e scherza con gli spettatori, fa grande teatro, illustra concetti filosofici, recita versi in francese, divaga con ricordi personali Perché alla fine questo spettacolo è il suo essere. Il suo credo, il suo esistenzialismo ottimista, avvolgente, amante della vita e delle persone.

È lui il ragazzo che ama. In chiusura imbraccia la chitarra e canta “Le foglie morte”, che non sono state mai così vive come questa sera.

Brunella Brienza

 

 

 

 

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