Il nuovo libro di Alfano per una ridefinizione del rock come fenomeno musicale – parte quarta

Intervista a Innocenzo Alfano quarta parte

Qual è il lettore ideale che immagini, quando scrivi?
Il lettore curioso che non ama le chiacchiere inutili e, peggio ancora, fuorvianti.

Se dovessi citare da un punto di vista strettamente musicale un cattivo esempio ed un buon esempio di musicista chi indicheresti?
Rispondo per categorie. Come cattivi esempi indico i chitarristi del filone psichedelico anni ’60, che, in generale, suonavano malissimo, e anche per questo la psichedelia è durata così poco (un anno circa). Come esempi buoni, invece, i musicisti folk e folk-rock, soprattutto quelli che suonano strumenti tradizionali o comunque non amplificati, da un lato perché si tratta, in genere, di ottimi musicisti, e dall’altro perché, se uno lo desidera, può acquistare uno di quegli strumenti e fare pratica, a casa propria o altrove, senza disturbare troppo i vicini.

Una delle tue riflessioni più innovative per quanto riguarda il campo di ricerca della musicologia applicata alla popular music è stata certamente l’individuazione di una peculiare cadenza che tu giustamente hai definito “cadenza rock”, del tutto estranea alla tradizione classica occidentale e tipica invece proprio di questo genere musicale. Fino a che punto credi che gli strumenti e la terminologia della teoria musicale classica siano adeguati all’analisi del rock, e, invece, quanto credi che sia necessario riformulare un linguaggio ed una grammatica nuovi per legittimare e regolarizzare i metodi di un campo di ricerca come questo, non ancora unanimemente accettato?
Il problema secondo me non è l’adeguatezza. Il progressive, ad esempio, può essere in gran parte analizzato e commentato anche con gli strumenti della musicologia tradizionale, cosa che io ho ampiamente fatto tra il 2004 e il 2006, e lo hai fatto anche tu nel tuo libro sul Balletto di Bronzo. La cadenza, poi, è un meccanismo – nonché un termine – musicale molto antico, non certo tecnologico. Va da sé che per un’analisi completa il linguaggio e la grammatica andrebbero ampliati, non però riformulati (almeno restando al progressive). Ma il problema, dicevo, è a mio avviso un altro, ed è che un simile linguaggio, antico o moderno che sia, più o meno aggiornato o ampliato, risulta incomprensibile a chiunque non si prenda prima la briga di studiarselo un po’ per capire in che cosa consista e come funzioni. Questa, secondo me, è la questione più importante.

Quanto credi che sia stato un danno relegare il formato vinile alla cerchia di pochi appassionati e collezionisti, o meglio, quanto credi che possa danneggiare la portata di un album concepito per il formato in vinile quando poi viene ristampato in cd?
A parte il fatto che le splendide ed elaborate copertine dei vecchi 33 giri rimpicciolite di 2/3 (e a volte anche di più) non hanno molto senso (e anche per questo, secondo me, gli lp stanno vivendo un inaspettato revival), il problema più grosso del cd nasce forse con le rimasterizzazioni, processi attraverso i quali il suono originario del microsolco viene modificato e, così si dice, migliorato. Il fatto è che modificando il suono di un’opera musicale cambia anche un po’ l’opera stessa, dal momento che la musica, come si sa, è un fenomeno sonoro. Le note degli strumenti musicali in un brano rimasterizzato sono, sia chiaro, sempre quelle, ma all’ascolto uno si accorge (almeno credo) delle differenze di “sound” tra, diciamo, un vecchio album in vinile e lo stesso album “digitally remastered”. Se in un libro vengono cambiate o aggiunte o eliminate alcune parole, e poi quel libro viene ripubblicato, si parla di seconda edizione del libro. Forse bisognerebbe applicare lo stesso principio anche ai dischi: avremmo allora la seconda edizione di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, quella di “In The Court Of The Crimson King” dei King Crimson, di “Hot Rats” di Frank Zappa (nel quale i cambiamenti riguardano non soltanto il sound ma addirittura la struttura dei singoli brani, con l’aggiunta di alcuni minuti di musica e il remixaggio di alcune sezioni dei vecchi pezzi), e così via. Comunque i danni veri, nel rock, sono altri.

Credi che l’avvento degli mp3 abbia contribuito a facilitare la diffusione musicale oppure che l’abbia esclusivamente svuotata di contenuti?
Per me la “diffusione musicale” non è quanti dischi o mp3 si ascoltano, ma quanti strumenti musicali si suonano e quante persone frequentano corsi di musica. Da questo doppio dato io giudico il livello della cultura musicale in un paese e, conseguentemente, la sua diffusione.

Qual è l’ultima scoperta musicale interessante nella quale ti sei imbattuto?
Il chitarrista inglese, scomparso nel 1992, Ollie Halsall. Avevo già a casa, in un paio di compilation dedicate al progressive, alcune cose di Halsall realizzate insieme ai Patto all’inizio degli anni ’70, e, ascoltando quelle registrazioni, già mi era parso di avere a che fare con un musicista di notevole caratura. Ma l’anno scorso, concentrandomi con calma su tutti gli album dei Patto (3) e sull’unico lp dei Tempest al quale egli ha partecipato (“Living In Fear”, del 1974), sono giunto alla conclusione che Ollie Halsall è stato uno dei più grandi chitarristi rock e jazz-rock della prima metà degli anni ’70, tanto brillante quanto fantasioso (ed abile altresì al pianoforte e al sintetizzatore). Eppure, per la storiografia rock “ufficiale” Ollie Halsall è un illustre sconosciuto, o giù di lì, mentre Keith Richards, uno dei chitarristi meno dotati di tutta la storia del rock, viene considerato un genio, o quasi. Ecco uno dei tanti danni, veri, cui accennavo prima. A proposito, di Ollie Halsall parlo in uno dei paragrafi di “Storie di Rock”, dedicato interamente al 33 giri “Living In Fear”.

Hai in cantiere qualche progetto futuro?
Ho tante idee, ma ci vogliono gli stimoli giusti per svilupparle, e nell’attuale mondo della musica rock, che io considero troppo superficiale, diciamo pure un po’ infantile (spero che nessuno si offenda…), non è facile procurarseli, quegli stimoli.

Se avessi la possibilità di dare un consiglio al tuo lettore ideale per usare nel modo migliore “Storie di Rock”, cosa gli diresti?
Se quel lettore prova una qualche attrazione per la materia, cioè per la musica, gli direi di non fermarsi alla lettura del mio libro, consigliandogli di acquistare uno strumento musicale e di iscriversi il prima possibile ad una scuola di musica (ad una filarmonica, per esempio). Ammesso, s’intende, che non lo abbia già fatto.

a cura di Gianmaria Consiglio

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