Salim Ghazi Saeedi: intervista alla voce libera di Teheran

L’estate scorsa avevo letto con interesse l’approfondimento di Riccardo Storti (coordinatore del Centro Studi sul Progressive italiano) sul suo blog “Scrittore Progressivo” della discografia del musicista iraniano Salim Ghazi Saeedi fino all’album “Iconophobic”.

Mi aveva profondamente colpito il fatto che un’artista a Teheran, suonasse il prog, comunicasse su Internet e vendesse la sua musica online.

Certo quella di Salim è una voce isolata, ma è bello scoprire che non tutto è come appare. Per una volta si parla  dell’Iran non per la bomba atomica, per gli ayatollah, per le minacce belliche ma per la musica, la stessa che gira sul nostro stereo…

Recentemente è uscito il nuovo disco di Salim Ghazi Saeedi, “Human Encounter” (2011), allora ho voluto approfondire. Via web sono entrato in contatto con il polistrumentista, ho quindi ascoltato il suo nuovo disco, un concept diviso in due parti, il lato oscuro e il lato chiaro della Terra.  

Il mondo ha due facce? Ed una delle due è giusto che sia oscurata? Queste le domande che mi sono fatto ascoltando un suono senza barriere che mescola avant-garde, Thelonious Monk, Nirvana e musica persiana…

“Human Encounter” è un disco davvero interessante, maturo che ci riempie il cuore di speranze. Ed è sintomatico il nome del suo sito SalimWorld: Salim e la sua musica si aprono al mondo…

A Salim Ghazi Saeedi abbiamo chiesto di rispondere ad alcune nostre domande. Questa è l’intervista alla voce libera di Teheran.

E’ inevitabile la domanda sull’Iran oggi. Abbiamo un’idea che sia un Paese conservatore, chiuso alle novità, in contrapposizione all’occidente. Tu sei il volto di una Teheran nuova e stupefacente, che ascolta e produce una musica differente, che usa Internet per valorizzarla, che comunica in inglese, che sa avere una dimensione internazionale. C’è davvero un’altra Iran? E’ possibile davvero esprimersi pienamente liberi?

Sono cresciuto  in Oriente, ma dalla prima infanzia ho iniziato ad ascoltare musica occidentale, ad imparare l’inglese e sono stato un fanatico della tecnologia. Quindi penso che sia naturale che i miei lavori artistici siano orientati prevalentemente verso l’Occidente, naturalmente mantenendo – come alcuni critici li chiamano –  riflessi persiani. La comunicazione globale rende più facile alle  culture di evolversi in modi nuovi e credo che sarete d’accordo che il rock progressivo è molto adatto ad essere un trasportatore di tali evoluzioni,  in quanto permette di oltrepassare i confini artistici ed incoraggia gli ascoltatori a pensare in modo creativo.

Come dici tu, l’Iran è un paese conservatore e non ci si può aspettare l’apertura mentale in un ambiente del genere. Per quanto ho capito, gli iraniani sono “affascinati dal passato”, sono persone che in generale non abbracciano moderne correnti artistiche facilmente… Quindi penso che anche se la scena musicale in Iran fosse stata più aperta alla musica occidentale, né i critici interni né gli  ascoltatori sarebbero stati pronti per la comprensione e l’analisi;  il confronto con i lavori creativi non è radicato nella loro cultura e considerato semplicemente come qualcosa di nuovo.
Nel frattempo i nuovi media consentono alle persone di sporgere la testa fuori del loro tempo-luogo continuo e penso che è compito dell’artista di trascendere il tempo, il luogo e la gente. Naturalmente questa operazione non è facilmente attuabile per tutti i tipi di creazioni artistiche, ma la musica è un mezzo facilmente trasferibile; la musica strumentale, è un linguaggio astratto e universale che mi ha aiutato a superare i limiti territoriali.

Tu hai cominciato con una band Arashk con cui hai inciso tre album, hai quindi proseguito come solista con due  dischi in cui sei polistrumentista. C’è poi un progetto musicale in duo con Negar Bouban. Ci parli brevemente delle tue attività e collaborazioni musicali?

Nei miei lavori da solista, Human Encounter (2011), Iconophobic (2010) ho preferito lavorare da solo, perché i generi musicali di questi album  – cioè avant-garde, jazz-rock e prog-rock –  hanno scarso seguito tra i musicisti in Iran e ben pochi di loro sono artisti professionisti. Così ho pensato che lavorare da solo sarebbe strato più efficace. Mi sono occupato da solo di composizioni, performance, strumenti, registrazione e mixaggio dell’ album.

Ho realizzato tre album con la band degli  Arashk, cioè. Ustuqus-al-Uss (2008), Sovereign (2007) e Abrahadabra (2006); erano per lo più puntati  ad una strumentazione standard rock  (tranne Ustuqus-al-Uss). Ma il progetto Arashk è stato bloccato  dopo le sessioni di prova del 2008 dato che le opportunità di concerti in Iran erano molto limitate. La band Arashk ha anche un quarto album, Yell (2008) che è stato composto dagli altri suoi membri; io ho contribuito alla chitarra ritmica e l’ho registrato e mixato.

Ho anche co-composto e registrato un singolo con Negar Bouban all’oud pubblicato il 1° gennaio2011. C’è una caratteristica particolare nella musica tradizionale persiana che mi piace molto, che è la grande enfasi dello strumento solista. Credo che esistano grandi potenzialità per la chitarra elettrica se suonata nello stesso modo e penso di sperimentarlo  in futuro. (continua QUI)

a cura di Gaetano Menna

 

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