Le “confessioni” al Brancaccino di Emanuele Salce, orfano d’arte

“Mumble Mumble”. La recensione della prima del 21 gennaio 2016.
In scena al Teatro Brancaccino fino al 24 gennaio.

Non è facile essere doppio figlio d’arte, o meglio, come dice Emanuele Salce, “orfano d’arte”, con due padri ingombranti e assenti come Luciano Salce e Vittorio Gassman.

Dai suoi padri, naturale e acquisito, ha ereditato innegabilmente tanto: la voce impostata alla Gassman, la lucida ironia di Salce, il talento innegabile, l’amore per il palcoscenico.

In “Mumble Mumble“,, che ha debuttato con grande successo al Teatro Brancaccino, Emanuele Salce è camaleontico, passando da Dostoevsky ad un pezzo di teatro alla armata Brancaleone; il tutto sostenuto da una formidabile spalla come Paolo Giommarelli.

Quello di Salce è uno spettacolo dai tratti autobiografici che parla di due funerali, quelli dei padri, della morte, della vita, dell’amore. Lo fa con toni differenti, supportato dal personaggio guida che lo affianca, alternando filosofia e (auto)ironia. Non mancano toni da commedia all’italiana, focalizzando l’attenzione sui lati grotteschi della vita.

Il protagonista non si prende mai sul serio (e come potrebbe alla presenza di due mostri sacri del teatro, quali erano i padri?); cerca – con intelligenza – la leggerezza. Costruendo così uno spettacolo in cui si ride tanto.

Ironia della sorte, una piéce sui funerali, debutta nel giorno del funerale di Ettore Scola a cui Emanuele Salce ha partecipato (un vincolo d’affetto e di collaborazione professionale lo legava al compianto regista).

L’ultimo applauso, alla prima al Brancaccino, non poteva che essere per Ettore Scola.

Claudio Costantino

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