Luca De Bei racconta una nuova storia di degrado intorno e di degrado interiore

“Di notte che non c’è nessuno”. La recensione della prima del 9 maggio. In scena al Teatro Lo Spazio sino al 27 maggio 2012

Il degrado intorno e il degrado interiore. Il buio dell’ambientazione e il buio dell’anima. Il senso di abbandono che invade tutto e tutti.

Sono questi alcuni elementi che caratterizzano la nuova suggestiva pièce scritta e diretta, con il suo stile inconfondibile, da Luca De Bei: “Di notte che non c’è nessuno”, in scena al Teatro Lo Spazio sino al 27 maggio 2012.

Così come ne “Le mattine dieci alle quattro” (precedente spettacolo di successo firmato De Bei) anche qui si raccontano e intrecciano storie di emarginazione.

De Bei entra ancora una volta nel mondo odierno dei vinti di ascendenza verghiana, degli sconfitti, di coloro che tentano invano di ricevere un riscatto dalla vita. Solo che qui gli “sconfitti” non sono solo i “ragazzi di vita” ma anche chi ha un titolo di studio ed una buona posizione sociale. C’è un male interiore, che non si può curare, un’insoddisfazione profonda, si avverte l’inutilità.

Gli attori, tutti bravissimi, sono Azzurra Antonacci, Gabriele Granito, David Sebasti che rispettivamente interpretano una ragazza che vive di espedienti, un ragazzo che si prostituisce, un giovane avvocato in cerca di sesso che nelle sue scappatelle notturne porta con sé  il figlio neonato. Tre personaggi uniti disperatamente tra di loro dai sogni e dalle speranze destinati inevitabilmente a infrangersi.

La messa in scena è curata in ogni minimo dettaglio: dal contesto scenografico  (che riproduce una desolante area degradata di periferia, vicina ai binari della ferrovia attraverso un piano in pendenza che delimita un fossato e vecchi ferri inutilizzati), dai suoni in sottofondo (come il latrato dei cani in lontananza), al gioco di luci e suoni (che fa immaginare il passaggio di treni).

Quello proposto è uno spettacolo disincantato, ruvido che sa colpire dritto al cuore degli spettatori, che fa venire voglia di urlare, di ribellarsi  ma, allo stesso tempo, che commuove.

I treni sfrecciano e vanno via, nessuno di essi può accogliere i protagonisti, illusi e poi disillusi, che cercavano il binario della salvezza. La loro vita scorre via nella sua amara inutilità.

Monica Menna

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