Teatro Sala Umberto: Nello Mascia sotto (e sopra) il muro nudo e simbolico

“A che servono questi quattrini”. Recensione della prima del 16 novembre.
In scena al Teatro Sala Umberto fino al 20 novembre 2022

Nello Mascia è tornato a Roma, al Teatro Sala Umberto, con un grande classico del teatro napoletano, “A che servono questi quattrini” di Armando Curcio. Un testo collaudato, rappresentato per la prima volta nel 1940 dai fratelli De Filippo, diventato un film di successo due anni dopo.

È stata una commedia amata da Peppino De Filippo che aveva proceduto ad una sua riduzione portata in scena quando si separò da Eduardo, che è stata pure nel repertorio del figlio Luigi. Ma è stato un cavallo di battaglia anche dei fratelli Giuffrè a cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta e di Tato Russo e Leopoldo Mastelloni tra gli anni Novanta e Duemila.

Adattamento minimal quello attuale (anche nel titolo, che perde il punto interrogativo) che vede come protagonista Nello Mascia. Lo scenografo Luigi Ferrigno e il regista Andrea Renzi hanno previsto come scena solo un alto muro spoglio, ma su cui viene calato una specie di drappo quando rappresenta l’interno dell’abitazione del titolare di un pastificio.

Muro nudo e simbolico e, sotto, solo un semplice tavolo e due sedie per la casa povera di Vicenzino (Valerio Santoro) che non ha una lira, e si impegna attivamente nell’ozio seguendo gli insegnamenti del marchese-filosofo Eduardo Parascandolo, seguace accanito della filosofia stoica. Ma il muro serve anche al personaggio di Mascia per guardare dall’alto e manovrare. Un colpo di bastone sul muro e dà il via alla rappresentazione…

Da sottolineare che l’adattamento teatrale con la regia di Renzi ha previsto un ruolo en travesti per il personaggio di zia Carmela. Ad indossare i panni femminili, con un richiamo quindi alle origini della commedia dell’arte, è Salvatore Caruso.

A completare il cast Loredana Giordano, Fabrizio La Marca e Ivano Schiavi.

Nello Mascia dà una caratterizzazione particolare al personaggio del marchese Parascandolo, che filosofeggia sull’inutilità del denaro; più che un astuto burattinaio è un vero e proprio deus ex machina che riesce a far essere quello che non è: non serve avere soldi, ma far credere di averli. Vicenzino sfaticato e ingenuo, inconsapevolmente viene pilotato da lui a raggiungere i suoi obiettivi d’amore e di ricchezza.

Il marchese di Nello Mascia è poco eduardiano, ma ciò non è una pecca, anzi. Mascia ha voluto far suo il personaggio, meno filosofo e più macchietta.  Il Vicenzino di Santoro, dal canto suo, è più vicino al teatro scarpettiano di Felice Sciosciammocca. Tutta la pièce ha toni brillanti, a tratti farseschi da commedia dell’arte, per godere con occhi nuovi  la rappresentazione cult, che si chiude con la proverbiale battuta: “Il danaro non ha mai dato la felicità a nessuno, specialmente quann’è poco”.

Brunella Brienza

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