Teatro Brancaccino: le nude neurosi di Cristian Ruiz

“Neurosi delle 7,47”. La recensione della prima del 14 aprile 2016.
In scena al Teatro Brancaccino fino al 17 aprile.

Cristian Ruiz si spoglia dei costumi sgargianti di “Priscilla” per portare in scena al Teatro Brancaccino “Neurosi delle 7,47”. Uno spettacolo “nudo e crudo”, come lo ha definito nei saluti finali alla platea. E nudo lo è davvero all’aprirsi del sipario. Il testo, di Ennio Speranza, è l’omaggio dichiarato al teatro dell’autrice inglese Sarah Kane e a quel suo ultimo lavoro teatrale “Psicosi delle 4,48” che, di fatto, annunciava il suo suicidio a soli 28 anni.

In scena, al Teatro Brancaccino, solo alcuni cubi con cui l’attore compone scale e supporti che lo portano in alto a toccare il dolore che è i nteriore. L’allestimento teatrale , previsto dal regista Massimo Natale, ha scarnificato la scena, per dare spazio alla parola ed all’espressività.

Prova impegnativa quella di Ruiz con un testo in cui realtà (oppressiva e non accettata) si confonde con il sogno (o meglio l’incubo). Affiora il dolore interiore del protagonista che, nel suo monologo, sottolinea l’importanza fondamentale del “fare” e fa davvero gesti tragici, o forse no, è tutto un incubo. Ci sono delle incongruenze o comunqe dei punti interrogativi. Come può essere nudo ad aspettare un autobus che non arriva mai? E’ coinvolto in un incidente stradale ad un incrocio che lo costringe a ritornare a casa. Qui c’è uno sdoppiamento, una dissacrazione. In alcune scene parla di un ritorno sul luogo dell’incidente, in altre di essere tornato a casa e aver compiuto azioni tragiche.

Ma il protagonista vaneggia, esprime riflessioni a ruota libera, mentre si veste. Il delirio, il male oscuro e intimo, è un dolore cupo, un’ossessione. Parla di suicidio ma non vuole uccidersi. Il gesto estremo, spiega, lo si compie quando uno ha schifo di se stesso, ma lui non è giunto a quel punto; ha schifo della società, del lavoro, degli altri. I concetti li dice e li ripete, e li ripete ancora, ossessivamente. C’è un tarlo interiore che scava e distrugge.

A volte, paradossalmente, si ride pure per un’ironia latente del protagonista. Una risata che non alleggerisce la tensione emotiva.

Forse, vien da riflettere, tutta l’azione vissuta la si propone in palcoscenico al contrario, come le immagini di un videotape rimandate indietro. Forse bisogna partire dalla fine, per tornare all’inizio a lui al freddo, all’incrocio della vita.

Claudio Costantino

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