Piccolo Eliseo: vermut e dolore

“Niente, più niente al mondo”, La recensione.
In scena al Teatro Piccolo Eliseo fino al 13 dicembre 2015

Si affonda il bisturi nell’Italia popolare, della povertà diffusa, dei sogni frantumati dalla realtà degli scontrini dei supermercati, dei conti che non tornano mai,di famiglie allo sbando.

Crescenza Guarnieri, con grande veridicità e drammaticità – in “Niente, più niente al mondo“, in scena al Teatro Piccolo Eliseo fino al 13 dicembre – ci restituisce il ritratto di una donna qualunque che non comprende la figlia, pur consapevole che non è stata in grado di darle un futuro. Il testo è stato scritto da Massimo. Carlotto, mentre l’adattamento e la regia sono di Nicola Pistoia.

La donna parla da sola, guardando scontrini di spese fatte, citando il prezzo dei prodotti. Il marito ha perso il lavoro in fabbrica ma ne ha trovato un altro. Lei ha aumentato il lavoro come domestica. Anche la figlia lavora. Certo i turni sono massacranti ma, a ben riflettere,il nucleo familiare raggiunge – nel complesso – una cifra di quasi di duemila euro che, nei tempi odierni, non è poco. Si teme però per il domani, di pensioni misere con cui non si vivrà. Si ha paura di una vecchiaia di stenti.

Dal racconto della donna si percepisce che non c’ è dialogo, si è rotto il meccanismo della famiglia.

Mancano gli affetti, le certezze, le piccole gioie di una volta. Non si è più capaci di essere felici. È questo il vero dramma.

Una superba Crescenza Guarnieri. La protagonista con indosso una sottoveste consunta e sbrindellata, legge il diario della figlia, beve vermut. Racconta, ricorda, divaga.

C’è un male interiore che esce fuori, che cresce in tutta la sua drammaticità. Per tutto il tempo il racconto-bisturi incide la carne viva, affonda impietosamente nel dolore, lasciando stupefatti, annichiliti a chiedersi come si è giunti a questo punto.

Non è solo un dramma sulla povertà, sul lavoro che non c’è, sulla precarietà come condizione di vita. È molto di più, è il racconto di una generazione che ha fallito.

C’era stato negli anni Sessanta il boom economico,c’era stata la voglia di fare acquisti, di progredire, di sognare. Ora, invece, sono gli anni dell’implosione economica. È cambiata la mentalità. Non si crede nel futuro che, anzi, fa paura, perché non esistono certezze, manca una stabilità economica, affettiva.

Per la protagonista la tradizionale passeggiata per le vie del centro, il sabato pomeriggio, ad ammirare le vetrine con oggetti che non si potranno mai comprare, è il segnale della sconfitta che non si riesce più ad accettare.E non basta il vermut per guarire le ferite dell’anima.

Claudio Costantino

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