Teatro dei Conciatori: il sapore del dolore

“Ferro”. La recensione
In scena al Teatro dei Conciatori fino al 24 maggio 2015

In scena solo alcuni tavoli bianchi e delle sedie. Arredano la biblioteca del carcere ma diventano anche lavagne, ponti, letti. La pièce (anche se gli attori sono due) è praticamente il lungo monologo interiore di un recluso. Pensieri liberi, a voce alta, laddove il tempo non passa mai.

Tutte le riflessioni, alla fine, ruotano attorno a quattro parole chiave: odio, silenzio, illusione e ferro. E “Ferro” si intitola la commedia, dell’autore romano  Francesco Di Chio , che Blas Roca Rey e Monica Rogledi  interpretano al Teatro dei Conciatori fino al 24 maggio. La regia è di Marco Mattolini.

Il prigioniero parla, divaga, circumnaviga il dolore, la ferita ancora aperta che ha dentro; piano piano si arriva al nocciolo: la rapina di quattro balordi, lo stupro fino alla morte della moglie.

La sua reazione, giudicata eccessiva dalla giustizia, lo porta a scontare la pena detentiva. Mentre il protagonista racconta, appare la consorte (presenza aurea, evanescente) per ripercorrere la loro storia d’amore, i loro sogni distrutti all’improvviso dalla violenza.

Ottima la prova degli attori. Blas Roca .Rey colpisce con la sua apparente pacatezza che resta tale anche quando il racconto si fa concitato. Divaga su calcoli, cifre alla lavagna, sulle relazioni umane, sulle persone con cui ogni uomo, nella sua vita, entra in contatto e quelle che davvero hanno lasciato un segno. Per giungere all’amara, disincantata conclusione che si ė soli a questo mondo. Tra le riflessioni in solitudine quella sul numero degli uomini che sono vissuti… miliardi di cadaveri , che non sono altro che un ciclo biologico che si rinnova e che ora appare senza senso. Brava anche Monica Rogledi che ha il compito di mostrarci il volto ilare, giocoso della donna, ma anche quello del dolore muto. Lei è parte del racconto, di una felicità afferrata  e irrimediabilmente persa.

“Ferro” è uno sconvolgente ed amaro racconto di femminicidio, visto dalla parte del testimone. Alla fine resta solo il ferro, della reazione e della costrizione (le sbarre), da leccare per sentire il “sapore” del metallo e del sangue di cui si ė macchiato. Il sapore del dolore.

Brunella Brienza

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