Giorgio Albertazzi al Ghione: diario shakespeariano

“Amleto e altre storie”. La recensione della prima del 23 novembre.
In scena al Teatro Ghione fino al 4 dicembre 2011

Giorgio Albertazzi con “Amleto ed altre storie” – al Teatro Ghione fino al 4 dicembre 2011 – propone uno spettacolo complesso che circumnaviga a 360 gradi Shakespeare. Una grande prima con molti ospiti (tra gli altri Michele Placido, Milena Vukotic, Pino Ammendola) ed un pubblico che ha accolto con grande calore il mattatore che in questo in teatro è di casa.Grande  e duttile interpretazione quella di Albertazzi che si impadronisce dei testi del drammaturgo inglese, li fa propri, nel gioco delle animazioni e degli effetti visivi, con la sagace regia di Daniele Salvo.

Lo schermo e qualche cassa sono gli unici elementi scenici della rappresentazione. La scena è a due piani e quello più alto permette ai personaggi di “entrare” nei video, in uno spettacolare gioco di incastri tra recitazione ed animazione. Sul velo di tutte scorrono le immagini di paesaggi onirici e poi occhi, tanti occhi che si affollano, che osservano il pubblico, rovesciando la prospettiva dell’osservazione tra platea e palco.

Ci piace la lettura drammaturgica del divin Bardo che viene fatta. Ci piace quella Cleopatra, donna corposa e sensuale, che chiede al messo notizie della mulier di Antonio; non vuole la verità ma bugie per alleviare il dolore del distacco dall’amato; non è più la regina sfrontata e inquietante ma solo la donna indifesa (negli affetti) e ferita (nei sentimenti).

C’è Amleto, con quel teschio che si rigira tra le mani. Risuona in finale il “to be or not to be” ma non è declamato; è buttato lì, frettolosamente, velocemente, appena percepibile. Come un soffio che si perde nel vento.

Sul palcoscenico del Ghione le tragedie di Shakespeare si incontrano, si intrecciano in maniera visionaria. Ci sono quattro  bravi attori  giovani – Roberta Caronia, Elio D’Alessandro, Selene Gandini, Stefania Masala  – e soprattutto c’è lui, il vecchio leone che Shakespeare lo porta impresso sulla carne come un marchio di fabbrica.

Emerge il tema della morte, della fine, di un destino ineluttabile. Lo spettacolo è un sogno, un incubo, o molto più semplicemente un diario, sulla propria straordinaria carriera artistica raccontata con i drammi shakesperiani.

Gaetano Menna

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